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Disfunzione erettile – Classificazione ed Epidemiologia

Giovanni Corona
UO Endocrinologia, Dipartimento Medico, Azienda ASL di Bologna, Ospedale Maggiore
UO Andrologia e Medicina della Sessualità, Università di Firenze

 

CLASSIFICAZIONE
La disfunzione erettile (DE) è definita come la persistente o ricorrente incapacità a raggiungere e mantenere un’erezione sufficiente per avere un rapporto sessuale soddisfacente (1).
Sotto il profilo strettamente eziologico, la DE viene comunemente classificata come secondaria a problemi organici, psicologici, relazionali o derivante dalla contemporanea presenza di più fattori (forme miste). Sebbene tale classificazione rappresenti un valido supporto didattico e risulti estremamente utile per l’esecuzione di studi clinici, trova difficile riscontro nella normale pratica clinica. La DE deve essere pertanto considerata come un disturbo multidimensionale, conseguente ad una generale (o graduale) perturbazione di tutte le componenti della risposta erettile, inclusi gli aspetti biologici (o del corpo), relazionali (o della coppia) e intra-psichici (o della mente) (2). Sebbene l’alterazione di uno qualsiasi di questi fattori possa rappresentare, in effetti, il primum movens (o evento di precipitazione), prima o poi tutte le altre componenti verranno interessate, con effetti negativi sulla qualità della vita, le relazioni interpersonali e l’umore (1,2). Compito del clinico che si occupa di medicina della sessualità è quello di identificare i fattori in gioco e di quantificarli, al fine di predisporre l’iter diagnostico e terapeutico più adeguato.

EPIDEMIOLOGIA
La prevalenza media globale della DE varia dal 14% al 48%, con tassi maggiori negli Stati Uniti e nel Sud Est Asiatico, se confrontati con quelli Europei (3,4).
Per quanto riguarda la popolazione italiana, l’unico studio epidemiologico attualmente disponibile nella popolazione generale è quello di Parazzini e coll. (5), che su 2000 soggetti ha riportato una prevalenza complessiva di DE (completa e incompleta) del 12.8% e ha confermato un significativo aumento della DE con l’avanzare dell’età (2% tra 18 e 30 anni e 48% oltre 70 anni). Rapportando questi dati all’intera popolazione italiana, emerge che circa 3 milioni di soggetti in Italia potrebbero presentare un certo grado di DE (5).
Molti meno dati sono disponibili in merito all’incidenza della DE, in particolare non esistono dati specifici relativi all’incidenza di DE nella popolazione italiana (4). Una recente revisione della letteratura internazionale, effettuata in occasione della IV International Consultation of Sexual Medicine, evidenzia un’incidenza complessiva di DE da 4 a 66 casi/1.000/anno, strettamente legata a fattori di rischio quali grado di istruzione, fumo, prevalenza di diabete, ipertensione, obesità e malattie cardiovascolari (CV) (4).
Al di là dei numeri, il dato epidemiologico più interessante emerso dallo studio della DE riguarda la stretta relazione tra questo sintomo e la possibile comparsa di malattie CV, specie in soggetti più giovani e meno complicati (4). Circa 10 anni fa, Montorsi e coll. (6) dimostrarono per la prima volta come la DE, in media, si verifichi 3 anni prima della comparsa di un evento CV. Tali autori ipotizzarono che, in seguito all’esposizione a fattori di rischio comuni, le arterie peniene raggiungessero un livello di restringimento critico anticipato rispetto ai più grandi vasi coronarici (ipotesi del calibro delle arterie; 6). Pochi anni dopo, Thompson e coll. (7) hanno confermato questi dati in un ampio studio epidemiologico, il “Prostate Cancer Prevention Trial”. Nel corso di un follow-up di 9 anni, la presenza di una DE all’arruolamento aumentava del 25% il rischio di sviluppare un evento CV (7). I nostri dati, ottenuti in un’ampia casistica di pazienti che si rivolgevano ad un ambulatorio andrologico per disturbo della sessualità, supportano ulteriormente questi risultati (8). Tra i pazienti con DE, coloro che riferivano un problema più grave avevano un rischio del 75% di sviluppare un evento CV dopo un follow-up medio di 4.4 anni (8). Inoltre, nella stessa popolazione, abbiamo dimostrato come, a parità di fattori di rischio CV, la presenza di un danno arterioso, valutato con eco-doppler penieno, raddoppiasse la possibilità di avere un evento CV (8,9), in particolare in soggetti giovani e in quelli a “basso rischio”. È importante notare che nella popolazione generale la maggior parte degli eventi CV si verifica in soggetti che sarebbero classificati come a “rischio ridotto” utilizzando parametri convenzionali di analisi. La ricerca di nuovi parametri in grado di individuare il “rischio CV residuo” è clinicamente rilevante. I nostri dati più recenti (9) suggeriscono come la presenza di un danno vascolare all’eco-doppler penieno, in particolare un’alterazione dell’accelerazione valutata in condizioni di flaccidità, possa essere considerato un nuovo marcatore surrogato di rigidità arteriosa negli uomini con DE, e possa essere utilizzato per predire eventi CV anche in uomini giovani e “a basso rischio” (vedi oltre).

FATTORI DI RISCHIO
Le componenti in gioco nel paziente con DE sono di triplice natura: organica, relazionale e intra-psichica.

Fattori di rischio per DE
Componente organica Fattori modificabili Fumo
Alcool
Obesità
Sedentarietà
Farmaci
Fattori non modificabili Diabete mellito
Malattia CV
Patologia neurologica
Interventi pelvici
Insufficienza renale
Epatopatie
Ipogonadismo
Componente relazionale
Componente intra-psichica Stress
Educazione
Aspettative
Credenze e valori
Interazione
Ansia
Disturbi mentali

 

Componente organica
Nell’ambito della componente organica è possibile distinguere fattori di rischio modificabili e non modificabili associati alla comparsa di DE. Tra i fattori modificabili ricordiamo:

  • Fumo di sigaretta: recenti studi di meta-analisi hanno dimostrato una stretta associazione tra quantità e durata del fumo e comparsa di DE. In particolare, il consumo di oltre 10 sigarette/die aumenta di circa il 20% il rischio di DE in modo tempo-dipendente (10).
  • Consumo di alcool: un consumo moderato di alcool sembra avere un ruolo protettivo sull’incidenza di DE (11). L’abuso cronico invece (> 6 drink/die) ha un effetto negativo sulla sessualità e sull’incidenza di eventi CV, sia attraverso meccanismi diretti sia secondari quali epatopatia e malnutrizione (12).
  • Obesità: precedenti evidenze suggerivano che l’obesità aumenta il rischio di sviluppare DE attraverso fattori di comorbilità quali malattie CV, diabete mellito ed ipertensione (13). Dati clinici e preclinici più recenti dimostrano, tuttavia, che l’obesità viscerale, indipendentemente dalla presenza di comorbilità associate, potrebbe rappresentare un fattore di rischio indipendente di DE, sebbene i meccanismi fisiopatologici sottostanti non siano del tutto chiariti (13).
  • Sedentarietà: recenti dati relativi al National Health and Nutrition Examination Survey, uno studio epidemiologico americano inerente 692 soggetti di età compresa tra 50 e 85 anni, hanno dimostrato come un’attività fisica intenso-moderata di 30 minuti al giorno riduce del 43% (fino al 60%) il rischio di DE (14).
  • Farmaci: allo stato attuale diverse classi di farmaci sono state associate alla DE (4). Molti farmaci di comune uso psichiatrico e internistico possono indurre e/o aggravare una DE (4). Il medico deve però sempre fare un bilancio fra l’utilità del farmaco e i suoi potenziali effetti dannosi sulla sessualità. Va tenuto conto che molte segnalazioni sono per lo più aneddotiche e sono stati pubblicati solo pochi studi controllati. Quando è possibile, può essere utile sostituire il farmaco. Per esempio, benché molti anti-ipertensivi siano stati associati a DE, gli ACE-inibitori, i sartanici, gli α1-bloccanti e, fra i calcio-antagonisti, l’amlodipina, sembrano scevri da effetti dannosi sulla sessualità (4).

Tra i fattori non modificabili ricordiamo:

  • Diabete mellito (DM): la prevalenza di DE in pazienti con DM varia tra il 27% e il 75% ed è strettamente correlata con la durata di malattia, il compenso glicometabolico, il grado di obesità e la presenza di complicanze micro- e macrovascolari (4). La prevalenza di DE sembra essere maggiore in pazienti con DM tipo 2, probabilmente in relazione alla nota associazione con fattori di rischio CV (4). In linea con tali dati, un vasto studio condotto in Italia da Fedele e coll. (15) su 9.868 soggetti diabetici, di età compresa tra 20 e 69 anni, ha mostrato una prevalenza di DE del 26% nei soggetti con diabete di tipo 1 e del 37% in quelli di tipo 2, sebbene tali differenze si riducessero sensibilmente tenendo conto del fattore età. Risultati simili sono stati riportati più recentemente in uno studio multicentrico italiano organizzato dall’Associazione Medici Diabetologi in pazienti con DM tipo 2 di recente diagnosi (16). Un sottogruppo di 1.010 soggetti, senza DE all’arruolamento, appartenenti allo studio di Fedele e coll è stato, inoltre, seguito in modo prospettico per una media di circa 2.8 anni (17). L’incidenza di DE è stata di 68 casi per 1000 soggetti/anno (IC 95% 59-77), con un tasso maggiore in pazienti con DM tipo 2 vs. tipo 1. È opportuno sottolineare, inoltre, come non solo il diabete manifesto, ma anche alterazioni precliniche del metabolismo glucidico, come un’alterata glicemia a digiuno, possano associarsi a DE (18). Infine, è stato osservato come la DE possa rappresentare un sintomo di diabete misconosciuto (fino ad oltre il 10%; 4).
  • Malattia CV: la presenza di cardiopatia ischemica, ipertensione arteriosa, livelli elevati di colesterolo totale e bassi di HDL sono fortemente correlati allo sviluppo di DE (4). Un soggetto con una patologia CV di qualsiasi tipo presenta un rischio più che raddoppiato di sviluppare una DE rispetto a un maschio sano (4). Nel 2010 Guo et al. (19) hanno fornito la prima meta-analisi volta ad indagare la relazione tra DE e malattia CV. L’analisi di 7 studi di coorte ha evidenziato un  rischio di patologia CV aumentato del 47% in pazienti con DE rispetto ai soggetti sani (19). Più recentemente, Vlachopoulos et al. (20) hanno esteso la valutazione a 92.757 partecipanti, con un follow-up medio di 6.1 anni, dimostrando come il rischio CV legato alla DE sia particolarmente elevato in soggetti giovani e poco complicati. Gli stessi autori hanno inoltre dimostrato come il rischio CV legato alla presenza di DE fosse simile a quello supportato da predittori di rischio noti, quali ipertensione e dislipidemia (20).
  • Patologia neurologica: le patologie neurologiche più frequentemente implicate nel determinismo della DE sono: la sclerosi multipla, che nel 50-80% dei casi si accompagna a DE (21), e le lesioni midollari (traumatiche, infettive, ecc.), che hanno conseguenze variabili a seconda della sede della lesione (4).
  • Interventi sulla pelvi: la chirurgia pelvica e la radioterapia (per le lesioni vascolari che essa determina) possono spesso determinare DE (4). L’intervento di prostatectomia radicale è la causa più frequente di DE post-chirurgica. L’introduzione di tecniche di chirurgia più conservativa (“nerve sparing”) ha permesso di ridurre significativamente il rischio di DE post-operatoria, sebbene con risultati variabili nelle diverse casistiche.
  • Insufficienza renale ed epatopatie: nei soggetti affetti da insufficienza renale l’incidenza di DE varia nelle diverse casistiche dal 20 al 60% (4). L’eziologia è multifattoriale e tra le cause più probabili ci sono la neuropatia autonomica, la riduzione del testosterone plasmatico, l’iperprolattinemia, il deficit vascolare e l’uso di farmaci. Nei pazienti affetti da epatopatie croniche, l’incidenza di DE varia dal 25 al 75%, con valori più alti quando l’epatopatia è di origine alcolica (4).
  • Ipogonadismo: il testosterone gioca un ruolo chiave nella regolazione della funzione sessuale maschile, agendo sia a livello centrale sia a livello periferico (4,22). A differenza di quanto osservato nella donna, nel maschio si assiste a una progressiva riduzione della produzione di testosterone. Tale fenomeno è strettamente legato alla presenza di comorbilità, in particolare obesità e DM (22). La prevalenza di ipogonadismo è nettamente più elevata nei pazienti con DE quando confrontata con quella osservata nella popolazione generale, confermando il ruolo chiave del T (22). In linea con questi dati, una recente meta-analisi ha dimostrato come la risposta sessuale migliori in modo significativo dopo terapia con testosterone nel paziente ipogonadico (testosterone totale < 12 nM), sebbene l’effetto sia minore in presenza di comorbilità quali ad esempio DM.
  • Sintomi delle basse vie urinarie: diverse evidenze scientifiche hanno documentato una stretta associazione tra sintomi delle vie urinarie e ipertrofia prostatica benigna e DE (23). Il meccanismo patogenetico comune è verosimilmente da ricondursi alla presenta di fattori di rischio comuni, quali la presenza di obesità, sindrome metabolica e DM, con conseguente danno vascolare (23).

Componente relazionale
Come detto in precedenza, qualsiasi disfunzione sessuale derivante in qualsiasi membro della coppia diventerà, di lì a poco, una malattia che colpisce la coppia nel suo insieme, causando disagio e sofferenza nel partner ed esacerbando ulteriormente le difficoltà originali, amplificando infine il problema sessuale (24). La sessualità deve essere pertanto considerata come elemento diadico, inteso come uno scambio reciproco di feed-back positivi e negativi, che possono incidere in modo sostanziale sul benessere individuale e persino contribuire alla sopravvivenza. In effetti, negli uomini con DE, la percezione di interesse sessuale e di amore della partner rappresentano fattori predittivi indipendenti di eventi e di morte CV (8).
Sebbene tutti questi dati siano facilmente intuibili, è opportuno ricordare che il nostro gruppo solo nel 2006 ha dimostrato attraverso metodi scientifici il ruolo indipendente della componente relazionale nella patogenesi della DE (25). In particolare, attraverso l’utilizzo della Scala 2 del SIEDY (vedi dopo) è possibile identificare e quantificare (attraverso un dato alfanumerico; punteggio sulla Scala 2 di SIEDY) la componente relazionale della DE, indipendentemente dagli altri fattori.

Componente intra-psichica
Livelli elevati di stress, educazione restrittiva, aspettative irrealistiche, modalità tipiche di interazione sessuale, credenze e valori che possono essere il risultato di apprendimenti culturali e di esperienze più o meno positive nei confronti del sesso, possono essere considerati, da un punto di vista psicologico, fattori predisponenti, precipitanti, o di mantenimento della DE, e quindi causa della stessa (25). A tali aspetti va ad aggiungersi il ruolo dell’ansia, che da molti autori è considerato un fattore chiave nella compromissione dell’eccitazione sessuale, dal momento che può intervenire come elemento distraente, minando la fiducia in se stessi e riducendo la frequenza dei rapporti (25). Inoltre, nel paziente che lamenta DE sono spesso presenti patologie più prettamente psichiatriche. In una serie consecutiva di oltre 1300 pazienti che si sono rivolti agli ambulatori di Medicina della Sessualità e Andrologia dell’Università di Firenze lamentando DE, circa il 6% riportava una storia di disturbo mentale (26). Sia disturbi d’ansia sia disturbi depressivi, oltre ai farmaci utilizzati per il loro trattamento, possono essere alla base di una perturbazione della sessualità maschile, oltre che influire sulla qualità della relazione.

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